2. STORIA DI UN INEDITO

 

(Pubblicato su: ”Il Momento” – mensile del Centro Culturale Casa A. Zanussi, Pordenone – Ottobre 1992)

 

Angelo Luminoso
STORIA DI UN INEDITO DI LUIGI CANDONI, DRAMMATURGO FRIULANO
 Le vicende rocambolesche del testo di una poesia che risale all’ agosto ‘ 43,  tempi drammatici per tanti soldati, anche friulani.
Un foglio recuperato allora in Sicilia e proposto solo ora ai nostri lettori.

“Luigi Candoni – campo prigionieri di guerra – Licata 30 agosto 1943”.  Poi un’aggiunta a matita: «sottotenente artiglieria alpina».
Cosi conclusi su una mia agenda la trascrizione di uno o forse due fogli diversi, raccattati da terra mentre gironzolavo attorno al giardino pubblico del mio paese, trasformato, dopo lo sbarco delle truppe alleate, in campo di transito per i prigionieri di guerra che affluivano dall’interno della Sicilia. A poche centinaia di metri c’era il porto, dove avveniva l’imbarco per i campi P.O.W. di Orano, in Algeria. Grandi zatteroni facevano la spola tra la Sicilia e l’Africa.
Nel contesto drammatico del momento, il titolo dei versi era significativo: «Il reticolato». Quei fogli erano visibilmente imbrattati di polvere, la polvere che abbondava allora nelle nostre vie. La carta era bianca, non rigata, di buona filigrana. La scrittura sicura, chiara, di penna stilografica, esprimeva un temperamento volitivo. L’autore aveva intenzionalmente lanciato quei fogli fuori dal recinto: un messaggio prima dell’imbarco per un destino non ignoto, certo non desiderato. La precisazione dell’arma e della specialità non era stata fatta a caso: probabilmente avevo notato, in quei giorni, l’affluire di reparti alpini. L’indicazione del grado fu una mia considerazione personale: quel poeta non poteva essere che un giovane ufficiale. Un’illazione giustificata.
Forse conservai quei fogli, perdutisi, tre anni dopo, durante il repulisti di un trasloco. Ma, secondo una consuetudine che avevo presa negli anni del liceo, trascrissi quei versi su una agenda, elegante, rilegata, del 1937. Avevo cominciato a utilizzarla nel ’42 per notazioni letterarie, lessicali, storiche, filosofiche copiate da libri e riviste: uno zibaldone senza originalità. Alcuni anni dopo quell’agenda mi raggiunse in Friuli, ma quell’evento, come i tanti della guerra, era rimasto sepolto nelle profondità del passato remoto, sotto l’urgere continuo del divenire, dei problemi che si rincorrono, della quotidianità.
L ‘ho ritrovata, per caso, due anni fa, e quel nome, riemerso dal lungo oblio, cominciò a dirmi qualcosa, a incarnarsi a poco a poco in un uomo: Luigi Candoni, il drammaturgo friulano che negli anni Sessanta si era affermato tra i protagonisti del teatro d’avanguardia italiano, il creatore e l’animatore del centro di orientamento, drammatizzazione e animazione teatrale di Udine. Ma c’è di più: rinvengo un volume, inviato nel 1973 da un editore alla mia scuola, «Il Sipario», un testo di letture e di animazione teatrale, col quale Candoni, con la collaborazione di altri studiosi, si era adoperato per suscitare l’interesse per la didattica teatrale nella scuola media, una didattica che fosse frutto della diretta sperimentazione con i ragazzi.
In una lettera di Candoni, che seguì a «Il Sipario» riconosco i caratteri della sua firma sui lontani fogli impolverati. E anche l’indirizzo della busta e il mittente sembrano richiamare la sua grafia sicura e chiara dei versi autografi de «Il reticolato». Purtroppo questo libro era stato relegato tra tanti altri saggi, in qualche armadio. E Candoni è mancato proprio quell’anno, in agosto: un’occasione perduta per dare autorevole autenticazione a quei versi, ma anche per non aver potuto ripercorrere con lui gli avvenimenti storici consumatisi quell’state del 1943 nella mia isola e la vicenda da lui vissuta, per qualche giorno, nel mio paese, vicino alla mia casa e a me. Un rimorso, oggi.

 IL RETICOLATO
Pubblichiamo il testo della poesia rinvenuta dal professor Luminoso in Sicilia

Frullava il passero
di ramo in ramo,
guardava la schiera degli usseri
muti.
Chi sono? Che fanno?
Passano lenti, sparuti, incoscienti
non sanno la meta, non sentono il coro
delle campane lontane
che chiamano pace.
Marciare senza cadenza
andare, sotto il sole, alla parata,
all’assalto o al reticolato?
Potere? Volere? Che cosa?
La sposa che attende sull’uscio di casa?
La fanciulla che aspetta
al limitare del bosco,
dove l’ombra è fitta
e il picchio sta a contare le stelle
eternamente?
O forse cantare sugli scogli
dove il flutto sfrangia
in ribollente spuma?
O il veliero sbandato sui marosi?
O le gialle pupille del treno
sfuriato a notte?
Potere? Volere? Che cosa?
Il ballo sul pergolato
o la tuta da fabbro? Lo scoppio del maglio
o le fanfare gloriose?
Chi ha combattuto un giorno
si prese in premio una ferita
ed ora è qui a marciare
a testa china, come un prigioniero.
Dove vanno? Non sanno.
Il passero chiama stupito
la sua compagna.
«È questo l’uomo?
il re degli animali, il cacciatore
felice, libero e superbo
che invidiammo all’inverno,
quando la bianca neve
ci negava il cibo?»
Volere? Potere? Che cosa?
La gola arsa chiede il ristoro
di una fontana,
ma lo straniero armato non permette.
“Più avanti”
E vanno senza pensare
allo spazio e al tempo.
La risacca culla nel porto
la nave che aspetta.
Domani l’imbarco, domani
si dormirà sul mare.
E poi? Chissà. Forse un paesaggio desolato
di certo il reticolato
Lontano chiamava ancora la campana
e il passero cantava
la sua libertà.

 LA POESIA DI CANDONI
L’indubbia appartenenza del testo al drammaturgo friulano. La specifica temperie del componimento

Ma può quel prigioniero Luigi Candoni essere identificato col drammaturgo di Cedarchis di Arta? Ritengo che non ci possano essere dubbi. Lo confermano le coincidenze biografiche: la sua partecipazione alla campagna di Sicilia, la cattura da parte delle truppe alleate, la prigionia ad Orano e poi negli Stati Uniti. Ma qualcuno non è d’accordo. Un giovane docente udinese, a quanto pare studioso della poesia candoniana, mi ha detto che i versi da me rinvenuti sono troppo dissonanti dallo stile del drammaturgo friulano.
Ma la poesia di Candoni, un’attività certamente episodica, è inedita e perciò mancano gli elementi per un confronto ammesso che un confronto sia possibile tra stati d’animo diversi e sensibilità in divenire.
Questo intervento potrebbe quindi aprire la strada al problema dell’attribuzione. Ma per negarla, quest’attribuzione, bisognerebbe trovare un altro Luigi Candoni che abbia attraversato le sue stesse vicende, quali ci vengono presentate nell’ottimo studio monografico di Paolo Patui, «Luigi Candoni – Un sipario ancora aperto», Orazero, Udine – 1987.
Il problema si pone e va affrontato in questi termini e con questi elementi. Un confronto interessante, al quale il giovane docente udinese potrà offrire il suo contributo.
Con «Il reticolato» ci troviamo di fronte ad un componimento umano, sincero, semplice, senza supporti dotti, non privo di fermenti, forieri di altre prove, espressione dei sentimenti di un giovane di 22 anni, ma già maturo, buttato nella mischia senza la vocazione del guerriero che, superati i momenti cruciali e salvata la vita, si proietta senza illusioni in un futuro prossimo senza libertà e vive con consapevolezza la nostalgia della sua terra.
Il motivo dominante è l’impotenza del prigioniero: «Volere? Potere? Che cosa?: un crescendo di interrogativi che disegnano, con sensibilità di quel momento, la dimensione di una rassegnata necessità di questo giovane che da lì a qualche anno sarebbe diventato un esponente dell’avanguardia del teatro del dopoguerra, autore di drammi di notevole spessore, ma che la cultura ufficiale sembra non avere valorizzato come avrebbe meritato. Purtroppo anche in ambito regionale.

Prof. Angelo Luminoso